In questo approfondimento analizziamo una clausola che, pur non comportando a carico dell’agente gli effetti imprevedibili del patto di non concorrenza post-contrattuale e della clausola risolutiva espressa riduce, talvolta in misura significativa, il potenziale dell’incarico di agenzia in termini di ammontare provvigionale.
Ci riferiamo alla “riserva di clientela”, altrimenti epressa nell’articolato del contratto di agenzia come “clausola dei clienti direzionali” o “clienti esclusi”, o ancora “clientela riservata” e simili.
Tale clausola consiste nell’escludere dalla competenza dell’agente – e quindi anche dal diritto alla provvigione – gli affari conclusi dalla preponente con determinati clienti, pur aventi sede nella zona a lui affidata, e nonostante tali affari riguardino prodotti che sono oggetto del contratto di agenzia.
Usualmente tali clienti sono quelli con i quali, per la loro tipologia peculiare, è necessario intrattenere trattative complesse, ovvero concedere condizioni di vendita nettamente differenti da quelle di routine.
Sovente, invece, si tratta di clienti i quali ordinano elevati quantitativi di prodotto, e per tale ragione la ditta preponente intende evitare di liquidare all’agente le provvigioni che sarebbero, in tal caso, ponderose.
Quali che siano le ragioni che muovono la preponente a pretendere la stipula della riserva di clientela, appare palese il pregiudizio che l’agente subisce dal punto di vista economico, pregiudizio che, in determinati casi, diventa duplice.
In taluni casi, infatti, un cliente è disposto ad acquistare un prodotto a patto che gli venga assicurato che tale prodotto non verrà fornito anche ad un altro cliente, avente sede nelle vicinanze; ciò accade di frequente in riferimento a prodotti di design, ovvero legati alla moda, ecc…
Tale “garanzia”, ancorchè non pattuita in modo formale, viene di fatto attuata dall’agente il quale, nell’ambito dell’autonomia operativa che caratterizza la sua attività, “filtra” la clientela potenziale, evitando appunto di promuovere lo stesso prodotto a clienti vicini e quindi “concorrenti” tra di loro.
Fornendo un cliente c.d. direzionale la preponente esclude l’agente dalla provvigione sull’ordine del cliente in questione, e contemporaneamente lo vincola, di fatto, a non poter promuovere gli stessi prodotti neppure ai “vicini” del cliente in questione, onde non turbare l’equilibrio di intenti di cui sopra.
Dal punto di vista giuridico la riserva di clientela si configura come una deroga alla previsione dell’art. 1748 del codice Civile, in quale recita: “…la provvigione è dovuta anche per gli affari conclusi dal preponente con terzi che l’agente aveva in precedenza acquisito come clienti per affari dello stesso tipo o appartenenti alla zona o alla categoria o gruppo di clienti riservati all’agente, salvo che sia diversamente pattuito…”.
Tale deroga è lecita, in quanto la norma codicistica espressamente ne tollera la pattuizione; nondimeno – e proprio in quanto lecita – essa è vessatoria, per le ragioni testè descritte.
L’esclusione di taluni clienti dall’incarico di agenzia può essere indicata nel contratto medesimo, ovvero potrà essere pattuita anche successivamente, e formalizzata a mezzo di una scrittura privata avente data anche successiva alla stipula del contratto suddetto, purchè sottoscritta da entrambe le parti:
“…la zona affidata è la seguente: …….. tuttavia, i seguenti clienti……….. sono da ritenersi esclusi dal presente incarico di agenzia, e sugli affari conclusi con tali clienti l’agente non potrà quindi vantare il diritto alla provvigione…”.
Talvolta si osserva un’aberrazione di detta clausola laddove, nel contratto di agenzia, è indicata la facoltà della preponente di comunicare unilateralmente all’agente il nome dei clienti direzionali, anche successivamente alla stipula del contratto medesimo:
“…la preponente si riserva, nel corso del rapporto di agenzia, di indicare all’agente il nominativo di eventuali clienti che, da quel momento in poi, risulteranno esclusi dall’oggetto del presente contratto di agenzia, e l’agente si impegna ora per allora ad accettare tale modifica…”
Si può ipotizzare ragionevolmente che una siffatta clausola sia da considerarsi nulla, in quanto consentirebbe aprioristicamente alla preponente di variare, a sua esclusiva discrezione, uno dei parametri essenziali su cui si fonda l’incarico di agenzia, privando oltremodo l’agente del diritto al contraddittorio.
Nell’ipotesi in cui la formulazione suddetta risultasse lecita, si verificherebbe che un cliente – il quale, all’inizio del rapporto di agenzia, non sia particolarmente “appetibile” dal punto di vista del fatturato – venga in seguito escluso dalla competenza dell’agente di zona non appena l’ammontare dei suoi acquisti cresca in misura sufficiente a far presumere di non aver più necessità dell’opera persuasiva dell’agente, il quale – ancora una volta – avrebbe seminato e non raccoglierebbe i frutti.
In taluni contratti si può riscontrare altresì una clausola ibrida:
“…I seguenti clienti…….. sono esclusi dall’incarico di agenzia di cui al presente contratto, e l’agente di conseguenza non percepirà la provvigione sugli affari conclusi dalla preponente con detti clienti; è facoltà della preponente, di volta in volta, richiedere l’intervento dell’agente presso detti clienti per iniziare singole trattative, ovvero proseguire trattative già iniziate; in tal caso verrà riconosciuta una provvigione ridotta, da pattuirsi di volta in volta [o addirittura: determinata dalla preponente medesima a suo indindacabile giudizio] …”.
Tale articolato, a prima vista, ha la parvenza di una riserva di clientela, ma nei fatti non lo è, ed ha semplicemente lo scopo di riconoscere all’agente una provvigione inferiore sugli affari conclusi con determinati clienti, senza alleggerirlo dei suoi obblighi contrattuali.
In altri termini: l’agente è così obbligato – nella normalità dei casi – a non promuovere affari con i clienti indicati (non percependo pertanto la provvigione), salvo però essere chiamato in causa ove lo desideri la preponente (il che, inevitabilmente, coinciderà con i casi in cui quest’ultima avrà difficoltà a gestire motu proprio la trattativa), ed egli dovrà dunque operare con la stessa diligenza richiesta per la promozione d’affari ad un “normale” cliente, ma con provvigione ridotta, e stabilita di volta in volta…
Va quindi operata una distinzione tra una clausola di riserva di clientela e una clausola con cui si pattuisca una provvigione inferiore sugli affari conclusi con determinati clienti.
Nel primo caso, infatti, l’agente NON ha l’obbligo – né la facoltà – di contattare i clienti “direzionali”, né l’incombenza di visitarli, né tantomeno di promuovere affari nei loro confronti, o l’incarico di sollecitarne i pagamenti,.
Nel secondo caso, invece, l’agente è tenuto a svolgere nei confronti dei clienti indicati la normale attività di promozione degli affari, con l’unica differenza di percepire, su questi ultimi, una provvigione inferiore a quella spettante su affari simili, a parità di impegno profuso.
Stante la natura vessatoria della riserva di clientela, essa è condizionata – per la sua validità – alla formulazione scritta ed all’esplicita accettazione da parte del contraente “debole” (nel caso di specie: l’agente), che normalmente si realizza attraverso la sottoscrizione specifica della clausola da parte di quest’ultimo, dopo che egli ha già sottoscritto la prima volta l’intero articolato delle clausole contrattuali.
Approfondimento a cura di Francesco Filippelli, responsabile dell’area sindacale dell’Associazione Piemontese Usarci