In occasione dell’inizio di un nuovo rapporto lavorativo mi è stato proposto un incarico di procacciatore d’affari per la durata di 6 mesi, precisandomi che, al termine, sarebbe stato stipulato il contratto di agenzia “definitivo”. Ciò è corretto?
L’attività di procacciamento di affari – peraltro non normata espressamente dal Codice Civile – , pur rientrando tra le attività di intermediazione commerciale, si differenzia da quella di agente di commercio per almeno due elementi: la tipologia della prestazione e l’occasionalità di quest’ultima.
In particolare, l’agente è impegnato a svolgere il suo incarico per conto di ciascuna preponente con carattere di continuità; per contro, il procacciatore d’affari non ha alcun obbligo in tal senso, essendo libero di segnalare o meno un affare a qualsivoglia soggetto interessato alla conclusione del medesimo.
Inoltre, mentre l’attività di agente si concretizza nel promuovere la conclusione di un affare – e richiede pertanto una molteplicità di azioni, che spaziano dalla presentazione del prodotto e della preponente ai clienti, alla trattativa per l’acquisto, alla fase post-vendita ecc… – quella di procacciatore d’affari consiste semplicemente nel segnalare ad un determinato soggetto elementi (nome del potenziale cliente, prodotti richiesti ecc…) che consentano a quest’ultimo di concludere un determinato affare.
Pertanto, la previsione di un incarico di procacciamento d’affari con durata determinata di per sé collide con la natura occasionale del rapporto lavorativo tipica di questa figura, e prefigura un incarico di agenzia vero e proprio – che, in quanto tale, non può essere normato con un contratto di semplice procacciamento d’affari.
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