Fallimento mandante e indennità di fine rapporto: cosa bisogna sapere!

Il fallimento dell’azienda preponente è sempre “traumatico” per un agente di commercio, soprattutto nel caso di un rapporto di agenzia di una certa durata.

Non è difficile intuirne i motivi: dopo aver profuso per anni le migliori energie per far sì che il fatturato dell’azienda mandante crescesse sempre più, affrontando la concorrenza, la crisi economica – e recentemente l’emergenza sanitaria da Covid-19 che ha messo tutti in ginocchio – l’agente vede mancare improvvisamente un’importante fonte di reddito, che dovrà tentare di rimpiazzare con altri incarichi.
Ma un non meno importante motivo di sconforto per l’agente di una mandante fallita è quello legato alle indennità di fine rapporto (nello specifico, l’indennità suppletiva di clientela e l’indennità meritocratica).

Per poter avere diritto all’indennità meritocratica, l’agente deve dimostrare di aver procurato nuova clientela alla preponente, ovvero di aver sensibilmente sviluppato il fatturato della clientela esistente; e inoltre deve dimostrare che la preponente stessa potrà concludere ancora in futuro affari con i clienti da lui apportati.
Quest’ultima ipotesi ovviamente non ricorre nel caso di fallimento della preponente: essa non potrebbe capitalizzare vantaggio alcuno dall’attività pregressa dell’agente, in quanto inibita dal fallimento alla prosecuzione dell’attività.

Per quanto riguarda, invece, il diritto dell’agente all’indennità suppletiva di clientela, gli Accordi Economici Collettivi dispongono diversamente tra loro. In specie, l’ A.E.C. del settore Commercio prevede che tale indennità spetta se il contratto di agenzia si scioglie su iniziativa della casa mandante (quindi per fatto non imputabile all’agente). L’ A.E.C. del settore Industria prevede invece che l’indennità NON debba spettare se il contratto di agenzia si scioglie per un fatto imputabile all’agente.

Di conseguenza, se è il fallimento a interrompere il contratto di agenzia, a norma dell’ A.E.C. commerciale l’indennità suppletiva di clientela potrebbe non spettare, in quanto il contratto non si è risolto per decisione della mandante; mentre a norma dell’ A.E.C. industriale tale indennità dovrebbe ugualmente spettare in quanto il contratto non si è risolto per decisione né colpa dell’agente.

Nonostante le suddette distinzioni, la pressoché totalità dei Giudici fallimentari non riconosce – alla fonte – il diritto degli agenti alle indennità di fine rapporto (nè indennità suppletiva di clientela né quella meritocratica) se il contratto di agenzia si è interrotto in conseguenza diretta della dichiarazione di fallimento della mandante, nonostante sia la stessa legge fallimentare a sancire che le indennità di fine rapporto di un agente di commercio sono “privilegiate”. Così, peraltro, si è più volte espressa la Suprema Corte di Cassazione, ritenendo non dovute le indennità, in quanto il fallimento non rientra tra le volontà della mandante.

Ebbene, il Tribunale di Verona, sovvertendo la linea della Cassazione, ha riconosciuto dovute all’agente le indennità di fine rapporto, con la seguente argomentazione:

“omissis… Il Giudice Delegato dispone:
Ammesso per € … nella categoria privilegiati generali, ante 1° grado, per provvigioni e indennità dovute agli agenti ex art 2751-bis n° 3, Cod. Civ. come richiesto. Ammesso per euro
… nella categoria privilegiati generali, ante 1° grado per provvigioni ed indennità dovute agli agenti ex art. 2751 bis c.c., come richiesto.
Ammesso in privilegio ex art. 2751 bis n° 3 c.c. per euro …. per indennità suppletiva di clientela.
Invero, come chiarito con le osservazioni, tale indennità è stata richiesta ai sensi dell’art. 10 AEC 30 luglio 2014, disposizione che prevede che essa sia dovuta, al momento della risoluzione del rapporto, anche in assenza di un incremento della clientela e/o del giro d’affari del preponente ( con deroga in melius, a favore dell’agente rispetto al disposto dell’art. 1751 cc) e con calcolo effettuato sulle provvigioni e sulle altre somme maturate in corso di rapporto, secondo le percentuali previste dall’AEC. La debenza dell’indennità è esclusa solo in caso di scioglimento del rapporto per fatto imputabile all’agente, sicché non sussistono preclusioni al suo riconoscimento in caso di scioglimento del rapporto a seguito di fallimento del preponente. […] Il calcolo di tale indennità allegato dal ricorrente non è stato oggetto di contestazione e quindi, può ritenersi conforme ai criteri di determinazione dell’AEC e quindi corretto“.

Il curatore fallimentare respingeva la domanda di privilegio dell’agente in quanto il rapporto è cessato a causa del fallimento della mandante con scioglimento automatico del contratto ex art. 78 della legge fallimentare, e non per causa imputabile alla mandante.

Il ricorso presentato dal legale dell’agente circa il rifiuto del curatore a riconoscere le indennità, con la motivazione suesposta, contesta la motivazione in quanto il fallimento è stato chiesto, in proprio, dalla mandante stessa, pertanto rientra proprio nel concetto di “imputabilità al debitore“.
Infatti il fallimento è stato dichiarato su richiesta di quest’ultimo e non su iniziativa degli altri soggetti individuati dall’art. 6 della legge fallimentare.

Ben sappiamo che si tratta di una sentenza “isolata” di merito, mentre numerose sono quelle di Cassazione che statuiscono il contrario; ma la motivazione portata dal legale e accolta dal Giudice Delegato, ci sembra degna di nota e potrebbe essere reiterata almeno quando il fallimento è richiesto dalla mandante.

 

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